Dalla vivacità e perfezione della giovinezza, alla rugosità molliccia della vecchiaia, senza accusare una scelta precisa preferendo raccontare con il linguaggio della nudità, degli arredi, degli abbigliamenti la meccanicità del disfacimento del corpo,la storia delle nostre illusioni e delle nostre speranze con una apparente naturalità. Il suo realismo, il suo forte espressionismo, si connotano come la rivelazione del segreto della visibilità, di ciò che tutti vedono finendo per non osservare nulla. Il tratto pittorico di Canoro presenta affinità con Bacon, con Auerbach, con Freud. Si tramanda con lui un’epoca, quella influenzata per respiro originario, dal positivismo scientifico, cominciata a fine ottocento e conclusasi nell’ultimo ventennio del novecento. Si arriva ad una nuova elegia del nudo, che è linguaggio della socialità e della ricchezza e per esplicito della povertà, ma anche un solco profondo da cui non si può prescindere, in una virtualità imperante, che scommette arditamente sulla naturalezza e sull’artificio, sconfinamento continuo, un vero problema d’identità. Tutto questo lo fa a modo suo, da dolce trasgressore, da instancabile eclettico che trova nella sperimentazione il suo laboratorio ideale e reale, confrontandosi con tutto quanto è contemporaneo a questo nostro vivere sospesi tra un passato che non vuole passare e un futuro troppo annunciato. Un riferimento pittorico per tutti noi del novecento, transitati nel nuovo secolo e nel nuovo millennio. Un grande protagonista che ci fa capire il presente.